13 anni fa vivevo all’estero, e conobbi un ragazzo italiano con cui iniziò una relazione passionale e travagliata, durata circa un anno e mezzo, ma che mi ha lasciato parecchie cicatrici.
Avevo 26 anni, lui 28.
Insieme stavamo bene, affiatati, tanti interessi in comune e una grande intesa dentro e fuori dal letto.
Presto me ne innamorai senza nemmeno accorgermene, di un amore davvero indomabile, che non sono mai riuscita a spiegare appieno agli altri.
Fu travagliata perché c’era una predisposizione diversa al rapporto a due.
Lui non ha mai avuto voglia né intenzione di “rendersi vulnerabile”, era una persona da sempre abituata a stare sola, un analfabeta emotivo, totalmente incapace di riconoscere e gestire sentimenti, di pensare per due; finiva sempre per mettermi in fondo alle sue priorità.
Questo mio grande amore per lui era un po’ d’intralcio al suo progetto di vivere la vita senza aver bisogno di nessuno.
Ma allo stesso tempo se provavo ad allontanarmi non mi lasciava andare.
Non si è mai capito esattamente se mi abbia mai amato. Riusciva solo a dire che eravamo “addicted to each other”, che perdersi non aveva senso.
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