E stringeva fortissimo al petto la cesta con dentro le due bottiglie di vetro senza smettere di guardarlo tra le trame della corda come se quella fosse una barriera di cemento invalicabile. Ciò che poi accadde avvenne in un lasso di tempo brevissimo e fu come se d’improvviso il cielo si fosse squarciato e un lampo di compassione umana avesse travolto tutti i protagonisti: il cuginetto Max si sporse dal fosso e mentre la sagoma nera dell’aeroplano, rombando, si accingeva a passare sopra la loro testa la afferrò fortissimo per le ginocchia e per il vestito, dove prese prese, scaraventandola giù nel fosso, ma ancor prima della sua azione coraggiosa in realtà quel soldato alla guida di quella spaventosa macchina di morte aveva già ritratto il dito dal grilletto, almeno una decina di metri prima di raggiungerla: probabilmente si accorse che stava per sparare a una bambina. Chissà, forse pensò a chi lo aspettava a casa o magari si risvegliò dall’ipnosi della sete di morte a cui immancabilmente tutte le guerre inducono. Fu come un miracolo della vita. Quella bambina del racconto poi in seguito avrebbe sempre ricordato che, prima di venire raggiunti di corsa dagli adulti che avevano assistito alla scena, il cuginetto Max con il coraggio e l’intolleranza tipica dei suoi anni, tutti e tre sdraiati e stravolti dentro il fosso, rimarcando bene le sillabe le urlò, in dialetto: “ma che ti ha preso? sei una cre-ti-na?!” a cui lei, senza riuscire a smetter di tremare e con gli occhi spalancati semplicemente rispose, sempre in dialetto: “Max, Max hai visto? Non ha sparato!”. “Sì, Silvia, non ha sparato, è vero” convenne più calmo, e respirando forte, il ragazzino.
Quasi ottanta anni dopo, come sempre mi reco in visita a mia madre in un istituto specializzato nella gestione di persone colpite da gravi demenze, nel suo caso una delle peggiori dovuta a una vasta e improvvisa emorragia fronto-temporale che dalla mattina alla sera, sul fare dei novant’anni, se da un lato le ha tolto di botto la coscienza dall’altro l’ha consegnata a uno stato di lento ma incessante stato di agitazione che l’ha resa impossibile da gestire in un ambiente privato. E anche quel poco di comprensibile che è rimasto, comunque sempre avvolto in una permanente nebbia di confusione, è destinato a regredire progressivamente in uno sperdimento inarrestabile sia cognitivo che linguistico. I medici mi hanno edotto con scrupolo su tutto avvertendomi che se rimane qualcosa di razionale riguarda solitamente solo ricordi lontani, ricordi dell’infanzia, come squarci di luce su eventi e persone del passato: è come se la nostra coscienza raccogliesse le ultime energie e tornasse all’origine.