In un attimo mi immagino come Julia Roberts in “A letto con il nemico”.
La casa era uno specchio, io sorvolo e vado in bagno.

Ne esco e lo trovo a letto esattamente messo come il mio ex, dopo un momento di assestamento, iniziamo le danze.

Niente di che, anzi.
Tutta la mia eccitazione della panchina finisce in poco tempo. Non c’è feeling, manca qualcosa, quel qualcosa.

Gestisco comunque, anche con maestria, il reale enorme augello e, finalmente, lui arriva a conclusione.
Mi ritrovo sotto un getto pari a quello degli idranti americani, senza via di scampo.

Oltre alla mia faccia vengono coinvolti: capelli, muro, letto, quadro, lenzuola, cuscini, comodino.
Ma la cosa peggiore sono le urla beduine che accompagnano il gran finale.
Gemiti fortissimi, suoni gutturali emanati nel cuore della notte a volume altissimo, latrati mai sentiti insieme a tutta la mia vergogna pensando alla successiva riunione di condominio.

Vado in bagno a ripulirmi, mi guardo allo specchio e rido, forte. Tanto forte che mi sente e quando torno in camera mi chiede spiegazioni. Rispondo che ero divertita da come era colato il trucco. Balla colossale.
La mattina dopo lo rifacciamo, pregandolo di non urlare.

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Claudio Michelizza

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