L’inconsapevole (o il finto tonto): “Ah, ma era alle 15.00, non alle 15.30?”

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Immagino che ognuno di noi, nella propria vita, abbia avuto a che fare almeno una volta con un ritardario cronico.
Fidanzati, coniugi, amici, familiari, clienti, pazienti e via discorrendo.
Io, per attitudine, sono sempre puntualissimo e spesso arrivo anche in anticipo.
Lo sanno i miei pazienti, i loro parenti o gli eventuali assistenti domiciliari che vivono con loro.
“Arriverò il tal giorno intorno all’ora x, probabilmente anche qualche minuto prima”, questa è la frase di rito che ripeto ogni volta che fisso un nuovo appuntamento.
Per non essere frainteso, chiarisco subito un concetto. Il ritardo può capitare, a me o al paziente, indifferentemente.
Ma ci sono alcuni modelli di pazienti ritardatari che mi infastidiscono più di altri.
Il fantasioso: ogni settimana c’è qualcosa che va storto. Se non è la lavatrice che allaga il bagno, è la sveglia che non è suonata o è stata un’invasione di cavallette.
Tra i ritardatari è il più poetico, perché trova sempre parole nuove per giustificare quello che è solo disprezzo per la puntualità.

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Claudio Michelizza

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