A me davano in continuazione della deficiente asserendo che la parola derivi dal latino deficere, che significa mancare; testuali parole “a te manca qualcosa, quindi non è un insulto” – però mi insultavano in ogni altro modo, dandomi dell’asina e invitando gli altri bambini a isolarmi. La parola “isolare” l’ho imparata grazie a loro, guarda un po’;
Questa potrà sembrare di poco conto, ma per un bambino non lo è: distruggere un giocattolo che mi ero creata da sola, un personaggio di carta fatto con impegno durante tutta una serata, con mia nonna che mi diceva “vai a letto, che è tardi!” e io che ci tenevo a finirlo perché era un qualcosa uscito dalla mia immaginazione, e alla fine mi piaceva tantissimo e ne ero così fiera che me lo tenni sul banco, mentre facevamo lezione; la maestra era incazzata per motivi suoi e, passando vicino a me, urlò a caso “…e poi questa roba qui che cos’è?” con rabbia inesplicabile lo prese fra le mani e lo fece a pezzi. Sentii gli occhi che mi bruciavano, ma non piansi. Sapevo che le avrei dato soddisfazione. Da quel momento piango davvero molto raramente, e mai parlo del mio dolore, è come se avessi un blocco;