Ad un certo punto appare alla porta il vicepreside del liceo, chiamato dalla prof. per risolvere la situazione. È il braccio destro della preside detta “Donna d’acciaio”, da sempre inamovibile guerriera contro la trasgressione, che in casa usa come tappeti le pellicce degli oppositori dell’ordine precostituito e come tazze i cr@ni degli spacci@tori del liceo.
È finita, siamo m*rti o al minimo saremo costretti a costruire a mano tre nuove aule con le catene ai piedi sotto il sole di mezzogiorno.
Io e gli altri due geniacci ci ritiriamo nei bagni per deliberare. “Che famo che non famo?” “Se glie lo diciamo facciamo una figura di caccon@!” “Se non glie lo diciamo magari capiscono che non c’è nessun ladro e finirà la storia…”
Ma io, il più sensibile della triade al peso del senso di colpa, non reggo la tensione e dico: “Basta regà glie lo dico io!”
“Ma che glie dici sei n’cojò!!”
Vado, prendo il vicepreside in disparte:
“Siamo stati io e un paio di compagni, non fa ridere, mi scuso a nome di tutti (la prego non sono pronto ai lavori forzati!)”
Il vicepreside stranamente non si arrabbia, quasi sorride, spiega il fatto alla classe e se ne va.
Ci guardano tutti con occhi giudicanti e perculanti.
Nessuna vuole fare l’amore con noi.
Tordelloni, b@stardi, senza gloria.
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