Sono fermo al semaforo. Davanti a me, in rigoroso ordine casuale e fastidioso, una coppia di Homo Monopattinensis.
Rigorosamente 40enni o giù di lì, con il malleolo scoperto che ti fa venire voglia di riservargli un trattamento come quello che Materazzi destina a Shevchenko, al malleolo ma anche al 40enne.
Scatta il verde, partono veloci con la loro tracolla da uomini d’affari pericolosamente penzolante, che dà l’impressione anche lei di vergognarsi di trovarsi su quella spalla, e le gambe in quarta o in quinta posizione.
Quando sono fortunato viaggiano a lato della strada, sempre con l’incognita che possano scartare verso sinistra per evitare una buca o un tombino, se va male te li ritrovi in mezzo alla carreggiata con un’irrefrenabile voglia di farli diventare parte del selciato, perché se solo osi dare un colpo di clacson vieni insultato come se fossi il peggiore dei criminali.
Ma non è nemmeno questa la situazione peggiore.
Il peggio è quando non li vedi arrivare, perché sembra che abbiano il dono dell’ubiquità.
Ti appaiono all’improvviso, sia con la luce del sole sia con il favore delle tenebre.
Arrivano da destra, da sinistra, davanti e dietro. Non hanno una direzione precisa, sbucano come le talpe nel gioco “schiaccia la talpa”, con la sola differenza che non sono Rita Pavone e non posso fare come lei per ricacciarli da dove sono arrivati.
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