Sogghigno dentro di me ma ostento indifferenza. La sua ricerca dentro la borsa continua. È una borsa molto piccola. Non ho voglia di facilitarle il compito, ma non è che possiamo perdere donatori per via dell’imbarazzo, siamo seri, quindi ostentatamente ripianto gli occhi nel cellulare. Non serve, deve aver perso qualcosa di davvero microscopico perché la ricerca non s’interrompe.

Mi guardo in giro per vedere se c’è un’infermiera libera. Non c’è. Non si sta liberando nessun’altra poltrona. Allora faccio un piccolo sbadiglio e fingo di addormentarmi. Conto fino a venti e riapro gli occhi: lei è già sdraiata nella poltrona di fronte, ginocchia serratissime, la pochette incastrata fra le gambe a fare schermo. Mi scappa da ridere ma non me ne faccio accorgere, mi rimetto a guardare il telefono.

Arriva l’infermiera che le infila l’ago, fa tutte le provettine, le dà l’acqua e scappa via. Chi l’avrebbe mai detto, così tanta gente ad agosto. Seguono minuti imbarazzanti: lei sempre contratta, ogni volta che rilassa le gambe cade la pochette. Difficile muoversi durante la donazione (N.d.A.: in realtà è facilissimo, ma se ti muovi troppo rischi il livido sul braccio), dopo un po’ rinuncia e si accontenta di tenere le gambe strette. Io che mi sarei anche rotto il caxxo di guardare il telefono così ossessivamente. Mi fa anche un po’ male il collo.